Stop social agli under 16, l’Australia ha preso questa decisione
Sul Foglio il direttore Claudio Cerasa esprime la sua opinione “la storica decisione del governo australiano di limitare, a partire dalla giornata di ieri, l’accesso ai principali social network mondiali ai ragazzi e alle ragazze di età inferiore ai sedici anni”, individuando “due chiavi di lettura”. “La prima chiave è quella che si concentra su un dettaglio importante. Si può essere contrari all’idea che lo stato possa o addirittura debba fare qualcosa per proteggere i giovani dall’esposizione eccessiva ai social network; e si può essere contrari all’idea che lo stato debba responsabilizzare ancora di più le piattaforme che offrono i servizi di social network (già oggi iscriversi sotto i tredici anni a Facebook, Instagram o TikTok non sarebbe consentito), introducendo sanzioni severe per chi non espelle gli utenti che non dovrebbero essere iscritti a quelle piattaforme? Ovviamente no”. “La seconda chiave di lettura che si potrebbe utilizzare per valutare la bontà o meno della legge australiana riguarda il contesto generale che dovrebbe spingerci a ragionare attorno a una domanda chiave: vietare i social media a chi ha meno di sedici anni è uno strumento utile per far sì che i giovani siano protetti dagli algoritmi potenzialmente pericolosi della rete? Si potrebbe provare a rispondere a questa domanda chiedendosi se offrire alle piattaforme la possibilità di accedere in modo ancora più indisturbato rispetto al passato ai contenuti sensibili di chi è iscritto ai social sia davvero un modo per tutelare i minori. Ma la questione, in fondo, è ancora più semplice. E se ci si sforza un istante non ci vorrà molto a capire che bandire i social per evitare che i più giovani possano essere esposti ai problemi generati dai social è come voler vietare la scuola perché nella scuola avviene il bullismo: sicuri sia una buona idea? Evidentemente no. Il goffo paternalismo di stato che confonde un problema reale con il mezzo che lo veicola tende a concentrarsi sul dito senza preoccuparsi di guardare la luna. Se il problema dei social è legato alla diffusione di contenuti estremisti, ai discorsi d’odio, alle menzogne sistematiche, le piattaforme dovrebbero essere responsabilizzate sulla reattività rispetto a questi contenuti, non su altro”.





