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La cucina italiana patrimonio Unesco, è nata la gastro-diplomazia

Mario Ajello sul Messaggero commenta la notizia del riconoscimento da parte dell’Unesco della cucina italiana come patrimonio dell’umanità. È la prima volta per una cucina nazionale, scrive, ed è un “riconoscimento per tutto ciò che siamo, che siamo stati e che saremo nella cultura e nella geopolitica. Il cibo non solo fa comunità nazionale, ossia ci descrive e ci unisce da dentro, ma fa anche diplomazia. Infatti, esiste la gastro-diplomazia e l’Italia da questo punto di vista, con l’affermazione appena ottenuta, si rivela all’avanguardia della contemporaneità. Che ha bisogno di pace e nel cibo c’è la pace (chi mangia bene pensa bene). La cucina è relazione, mette in contatto, aiuta i rapporti e le soluzioni nei consessi internazionali. Nei quali in passato si mangiava soprattutto francese, ma adesso si mangia soprattutto italiano. Non è un caso che appartengono all’antica Roma i primi trattati di cucina e l’antica Roma si pensava globalmente e faceva stare insieme le genti. Lo stile antico romano è combinazione di un’etica (il diritto) e di una estetica (la maniera di vivere) e questo mix in cui c’è dentro anche il cibo ha costruito la civiltà occidentale. È stato vettore di inclusione, e lo è ancora. Tacito, quando descrive nel suo libro le gesta in Britannia di suo suocero Giulio Agricola, dice che i romani oltre ad aver insegnato a vestire hanno anche insegnato a mangiare. Cibo come soft power, ecco. Tucidide scrive che ‘i popoli del Mediterraneo cominciarono a uscire dalla barbarie quando impararono a coltivare gli ulivi e la vite’. Pure il vino fin da subito diventò un segno d’eccellenza e un mezzo per grandi giri di affari da industria globale. Il cibo italiano riassume tutto il genio e lo stile che ci appartiene: contiene la creatività (la nostra cucina non è mai un’attività ferma) ed è un mix di territorialità e innovazione”.

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